FRANCO SBORGI
Per molti artisti, fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, si è instaurato un rapporto stretto di ricerca con il mondo del mito e con i linguaggi delle culture del passato.
Spesso la scelta è caduta sulle culture meso-americane, sul mondo degli aborigeni australiani, su certe aree dell'Oriente (sia vicino che estremo), in cui le tracce di forme di scrittura assumono forme fortemente iconiche, pittografiche.
Gli approcci sono stati di volta in volta assai diversi, ma certo hanno avuto in comune l'interesse per sistemi di segni che, perduta in parte la trascrivibilità del significato comunicativo, possono essere "riusati" nel loro valore d'immagine e, quindi, riproposti in un contesto rappresentativo in qualche misura autonomo e proiettabile sul presente.
Certo, tali segni portano con loro tutto quel complesso di riferimenti che le pur frammentarie conoscenze di queste culture fanno filtrare: e, in questo, caricano il puro aspetto segnico di un valore allusivo, che va ben oltre la mera riproposizione del segno.
Spetto - come avviene, ci sembra, nel caso del lavoro di Roberta Buttini - al fatto puramente evocativo di queste culture, si combinano più precisi interessi antropologici, sulla natura dei miti e dei riti, sullo stesso specifico storico spirituale di questo lontano immaginario.
Ovviamente, trattandosi di un'indagine che ha il suo specifico nell'ambito dell'operatività artistica, essa si serve della ricerca storica ed antropologica soprattutto come supporto culturale, come strumento di arricchimento della ricerca, più che non come metodo sistematico di analisi.
Il forte fascino iconico di queste forme segniche e non (si vedano, ad esempio, i richiami alle statue-stele in alcune opere della Buttini), che affiorano dal mistero appena intravisto di questo passato, finisce, come è naturale, per prevalere e, divenire asse centrale della ricerca artistica, senza peraltro sopprimere la matrice culturale d'origine.
Anche se, proprio questa componente primaria dell'immagine-segno, dà vita a processi di ricomposizione e di riassociazione, in una sorta di sincretismo di più elementi culturale, che ricostituisce una nuova possibilità comunicativa unicamente sul piano specifico della ricerca artistica.
I nuovi alfabeti e le nuove sintassi che si ricompongono sono infatti del tutto autonomi concettualmente, e trovano la propria ragione nei percorsi che sanno riproporre sul campo specifico della tela o in quello dell'assemblaggio: ambiti operativi entrambi praticati da Roberta Buttini.
Va ulteriormente sottolineato che alla dimensione "antropologica" della ricerca, si ricollega strettamente anche il "piacere" artigianale dell'assemblaggio, che caratterizza alcune opere dell'artista.
Il ricostruire, ossia, una nuova oggettualità, attraverso una processualità primaria, che reimpiega tanto materiali poveri - dal legno alle conchiglie, al tessuto, ecc., fino ad oggetti della cultura materiale -, che le tecniche consuete della pittura, insieme al recupero di frammenti della contemporaneità.
Una nuova oggettualità, cioè, in cui, ai segni del presente si intrecciano sia il "fare", che "il pensiero" di una cultura mitica che riaffiora con i suoi nuovi totem e con i suoi rinnovati racconti.
Franco Sborgi
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