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Roberta Buttini
Artist

FRANCO SOLMI

Mi sembra giusta la notazione premessa di Mario Cagetti a un suo testo dedicato all'opera di Roberta Buttini, specialmente là dove afferma che alla base della ricerca della giovane pittrice sta "il concetto dell'uomo contemporaneo condizionato dalla sua stessa natura ed imprigionato dalla realtà materiale". Resta da vedere come l'artista "immagina" (rende per immagini) questo uomo d'oggi, e di qual natura sia la realtà materiale che lo imprigiona impedendo che si instauri fra il personaggio e la situazione che lo coinvolge un qualsiasi rapporto dialettico. Si veda, per esempio, il grande dipinto ove una figura monumentale di sapore novecentistica, anonima quanto può esserlo un simbolo senza possibili significazioni, posa massicciamente fra arditissime strutture spaziali che costituiscono, nella loro fredda essenzialità, l'unico momento dinamico dell'insieme. Qui è proprio il simulacro umano a non aver sentore di vita, possibilità di azione, tanto è grave e appesantito di materia, mentre le strutture oggettuali agiscono, determinano la situazione, potrebbero mutarne il segno. La figura - non l'immagine che è tutta l'opera - non la si coglie imprigionata ma assente, e ciò è assai più drammatico perché fra il prigioniero e la sua cella un qualche rapporto di reciproca azione potrebbe sempre istituirsi, mentre qui si crea soltanto il silenzio delle cose, la morte oggettuale. Questo silenzio, non a caso, è il protagonista dei dipinti linguisticamente e stilisticamente più coerenti, ove ad agire sono appunto i soli oggetti: strumenti di tortura, forse, e simboli di schiavitù e di tormento, ma anche presenze pacificate in quel loro cosmico estraniarsi ove può passare, più che un momento di denuncia, un sospetto di evasione dalle impurità dell'organico (e dell'umano). In queste cose, che hanno un loro gelo ma anche una loro disumana necessità, Roberta Buttini trova una giustificazione logica all'illogica assenza umana, ed è giusto che il processo pittorico si svolga nel senso dell'accentuazione delle irrealtà che queste immagini propongono acquisendo trasparenze vitree e lucentezze di morte metallica e perdendo progressivamente d'organicità e di "naturalezza". Il discorso della giovane artista assume toni di assoluta improbabilità e di mistero proprio nella misura in cui si fa più lucido e limpido. Nella contraddizione sta il fascino di questi dipinti, tanto più verificabile se si nota come la loro suggestione si impoverisce quando la contraddizione scompare e il discorso si fa dichiarato e di aperta denuncia della oppressione a cui l'uomo è soggetto. Il pericolo che corre Roberta Buttini è quindi quello di trovarsi a dire troppo chiaramente ciò che non è affatto chiaro, ma sottile, insinuante e, in definitiva, contraddittorio come prima dicevo. Esiste indubbiamente quella "oppressione dell'oggetto" intuita da Cagetti, ma essa si esercita in modi subdoli e si attua assai più nell'annullamento della persona che non nella vistosa violenza che su di essa si possa scaricare. E' per questo che i quadri più riusciti di Roberta Buttini tendono al silenzio e all'immobilità, senza che ciò significhi sospensione del giudizio che, proprio in quanto non è "urlato" al modo in fondo ingenuo dell'espressionismo storico, si fa più denso di significazioni nascoste, opponendo a una repressione che si veste di bellezze e di limpidità (proprie della civiltà dei cristalli e delle levigatezze oggettuali) altrettanta bellezza e lindore. Ma qui queste dimensioni di superficie appaiono false ed incredule, come sempre accade quando l'immagine da elemento di mera riflessione si fa addensamento di sensi, e quindi di ambiguità. Di quelle ambiguità che, proprio perché arricchiscono di scompensi e di utopie la mera "figura", chiamiamo poetiche. Roberta Buttini deve certo affrontare problemi irrisolti, anche a livello di linguaggio, ma non v'è dubbio che la sua ricerca ha già dato risultati di vero interesse per chi creda ancora alla possibilità dell'arte, certamente morta cristallizzata in concetti, di ritrovare una propria minaccia ragione di "essere al mondo".

Franco Solmi

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